Gli anni che stiamo vivendo sono già da molti etichettati come età digitale: in futuro, si guarderà a essi come un periodo di evoluzioni tecnologiche frenetiche, capaci di rivoluzionare il modo di vivere il quotidiano. Raramente capita di soffermarsi sulla questione, ma effettivamente la digitalizzazione ha radicalmente trasformato i più diversi aspetti: musica, film e videogiochi sono sempre più spesso privati di qualsiasi supporto fisico, così come libri e documenti in generale. Non sono mancate in proposito voci critiche, che mettono in guardia circa l’assenza di qualsiasi opera tangibile che, in futuro, possa essere preservata per tramandare la cultura di questi anni: basti pensare alle fotografie, ormai quasi sempre conservate su archivi digitali. Nonostante le necessarie attenzioni nei confronti del fenomeno, è innegabile che questo si sia rivelato in grado di avere un impatto rivoluzionario nei più diversi campi, distinguendo nettamente un prima e un dopo: tra questi, merita sicuramente un posto di spicco il settore dei lavoratori digitali.

La digitalizzazione ha permesso la nascita e la trasformazione di numerose figure professionali: lavoratori interamente digitalizzati, che operano costantemente in un mondo dematerializzato. Una modalità di lavoro che, più in generale, può essere applicata ai più disparati contesti: è quanto dimostrato dallo smart working. Sviluppatosi rapidamente negli ultimi anni, i lavoratori da remoto sono spuntati in innumerevoli ambienti: non solo tra i lavoratori autonomi, ma anche in settori lavorativi normalmente legati alla presenza in ufficio. Basti pensare a figure come sviluppatori, analisti o esperti di dati, figure alle quali non è normalmente richiesto un contatto fisico con clienti o collaboratori: questi possono svolgere le loro attività lavorative con il semplice ausilio di un computer connesso alla rete, di fatto eliminando qualsiasi legame con uno specifico luogo di lavoro fisico. Certo, molti preferiscono continuare a frequentare un ufficio per le più diverse e condivisibili ragioni; ma non si può negare che lo smart working abbia dimostrato di poter essere applicato con successo a numerose figure professionali, con potenziali risparmi decisamente apprezzabili.

Una categoria relativamente nuova, invece, è quella del videogiocatore professionista o pro gamer: si tratta di videogiocatori che, per lavoro, competono su diversi titoli videoludici in proprio o legandosi a una società competitiva. Una figura resa possibile soprattutto dallo sviluppo della concezione sportiva del videogioco, allargatasi ai più diversi generi videoludici. È il caso dei giochi da casinò: il boom del casinò online si è inserito proprio nel contesto dei giochi da casinò praticati in forma sportiva all’interno di tornei, ampliando sensibilmente il numero di professionisti del settore. Nonostante molti tornei siano presenti anche in forma fisica, è infatti online che il settore si rivela maggiormente dinamico, come nel caso del blackjack: presenza immancabile nell’offerta dei siti specializzati, viene praticato sportivamente da giocatori professionisti che si allenano e soprattutto lavorano quasi esclusivamente online, lasciando il gioco fisico a eventi tendenzialmente eccezionali. Persino società sportive tradizionali scendono sui campi da gioco virtuali tramite videogiocatori professionisti: al giorno d’oggi moltissime società calcistiche, per esempio, contano su una propria rappresentativa di eSport, che attraverso uno o più pro gamer partecipa ai più importanti tornei competitivi come la eSerie A.

Più note, invece, due figure diventate professionali a dispetto dello scetticismo di molti: influencer e content creator. Si tratta di professioni nate come amatoriali, legate soprattutto all’enorme diffusione di social network visivi come YouTube, Twitch o Instagram: contesti digitali nei quali poter dialogare tramite immagini e video. Gli influencer lavorano principalmente con sponsorizzazioni: tramite partnership e progetti commerciali, questi pubblicizzano determinati marchi sui propri canali social, esplicitando che quel determinato contenuto è legato a un prodotto commerciale. Il content creator, invece, sfrutta principalmente lo streaming, tanto live quanto on demand: si tratta infatti di creare contenuti di intrattenimento, che possono spaziare da approfondimenti di vario tipo a semplici format ricorrenti. Un’opportunità legata all’ampia accessibilità di piattaforme streaming, che consentono a chiunque di potersi esprimere anche in maniera artistica: le visualizzazioni di un contenuto, infatti, generano guadagni per il suo creatore. Non pochi pensavano che tali figure fossero destinate a sparire con il declino dei social network; eppure, al generale calo di interesse verso Facebook e Twitch fa da contraltare l’ascesa di altri social, cosa che mantiene immutato il contesto lavorativo per questi particolari lavoratori digitali.

Tra la necessità di tutele specifiche e le prospettive per il futuro, le professioni digitali hanno intrapreso una strada dalla quale è difficile pensare di tornare indietro: un altro esempio delle sfide che la digitalizzazione pone nel quotidiano di chiunque.