Il mining, termine che deriva dal verbo inglese “to mine” e che vuol dire “estrarre”, non è altro che il processo che serve per produrre criptovalute, ad esempio Bitocoin o Ethereum e tutte le criptovalute.

Un processo di verifica molto complesso che sfrutta la potenza di calcolo di un computer o di particolari strumenti nati per questo.

I soggetti che svolgono il mining sono chiamati miners e ottengono, in cambio del loro sforzo (cioè della condivisione della potenza di calcolo della loro strumentazione), parte di ciò che viene prodotto durante il processo, cioè praticamente delle criptovalute.

Ma come si inizia l’attività di mining?

Prima di tutto bisogna procurarsi la strumentazione necessaria per fare mining e cioè un computer con molto schede grafiche e nessun monitor.

In particolare deve avere:

una scheda madre
un hard disk drive o HDD
molte GPU con cui riempire il case del computer
un’unità che genera energia (in genere unità da 750 watt collegate tra loro)
un interruttore
un sistema di raffreddamento (meglio se più di uno)
una connessione ad Internet

Una volta predisposta la strumentazione, bisogna installare un software (online sono disponibili diversi software per minare la criptovaluta che si desidera).

Oppure si può trovare un mining pool, cioè un raggruppamento di miners di cui far parte per condividere la propria potenza di calcolo, e di conseguenza anche le commissioni che si ottengono dal processo.

Uno dei problemi che potrebbero avere i miners “domestici” è legato al consumo di energia elettrica.

Alla luce anche dei recenti rincari, avere una strumentazione di mining del genere comporta non poche spese da questo punto di vista, considerando che le GPU, a seconda dell’algoritmo che usano, consumano tra i 360 ed i 1500 watt per un impianto da 6 a 7 schede.

Allo stesso modo la scheda madre, l’unità di alimentazione, l’HDD e la RAM consumano fino a 100 watt, mentre il sistema di raffreddamento utilizza da 20 watt a diversi kilowatt.
[smiling_video id=”371231″]

[/smiling_video]