Arriva un altro superbonus, anche se stavolta l’edilizia non c’entra nulla. C’entrano invece le pensioni, il vero tasto dolente del bilancio economico italiano, con una misura che riguarda coloro che decideranno di continuare a lavorare.

È questa la proposta presentata alla Camera dei Deputati: offrire un contributo importante per coloro che scelgono di lavorare fino ai 71 anni, così da poter evitare il buco dei “Baby Boomers”. Una proposta, questa, che ovviamente farà molto discutere ma che può aiutare a capire i punti critici del sistema pensionistico italiano.

L’importanza delle strade alternative

Il primo punto critico, ovviamente, è quello del valore dell’assegno erogato dall’Inps. Secondo i dati dell’Osservatorio sulle Pensioni la media italiana è di 1.359 euro, con picchi al Nord Italia (1.456 euro contro i 1.185 del Sud) e un gap di genere veramente incredibile (gli uomini prendono 1.669 euro, le donne invece quasi la metà: 945 euro).

Un dato, questo, che rischia di diventare via via più basso, con la crisi che cresce e soprattutto senza l’adeguato ricambio generazionale. In un contesto simile diventa fondamentale guardare a strade alternative come i fondi pensione, utili per mettere in sicurezza la propria vecchiaia. I numeri dei fondi pensione dicono che sono sempre di più gli italiani che scelgono questa strada, scegliendo una forma di investimento che, attraverso dei versamenti periodici, permettono di mettere da parte un tesoretto da utilizzare come previdenza complementare. Un sistema questo che permette di integrare quello che sarà l’assegno previsto dalla pensione obbligatoria e la cui convenienza dipende soprattutto dall’orizzonte temporale per il quale si accantonano queste somme.

Costi troppo alti per l’assistenza

L’altro punto critico del sistema italiano è l’altissimo costo assistenziale. Lo ha sottolineato Alberto Brambilla, ex Sottosegretario del Ministero del Lavoro e oggi alla guida di Itinerari Previdenziali, proprio in occasione dell’ultimo rapporto elaborato dal suo centro studi e ricerche. Le attività assistenziali, infatti, sono costate 157 miliardi di euro nel 2022, vale a dire 12 miliardi in più rispetto al 2021. Un numero ancora più grande se si paragona al 2008, quando per la stessa voce si spendevano 73 miliardi. “Il tutto mentre il debito pubblico si avvicina pericolosamente ai 3mila miliardi e, secondo i dati Istat – spiega Alberto Brambilla a IlSole24Ore – il numero di persone in povertà continua a salire: verrebbe da dire che non solo spediamo molto ma spendiamo anche male”.

La spesa per le pensioni italiane pesa quasi 13 punti percentuali sul Prodotto Interno Lordo nazionale, con oltre 247 miliardi di euro. E anche se per adesso il sistema regge e se i numeri sono ancora tollerabili, servono soluzioni per risolvere i problemi futuri, anticipandoli e prevenendoli. Senza aspettare la loro esplosione.