Chiunque abbia una società sa bene che ci sono delle questioni burocratiche e fiscali da rispettare affinché tutto avvenga in maniera regolare e legale. Ecco perché in molti, con l’idea di pagare meno tasse e di una burocrazia più agevole, decidono di spostare la sede legale della propria società all’estero.

Negli anni si è sempre più sentito parlare di paradisi fiscali, Paesi dell’Europa o del mondo in cui la fiscalità è più agevole e dunque chi ha una società paga meno tasse.

Quindi molti imprenditori hanno deciso di spostare la sede legale della propria società in uno di questi Stati.

Cosa vuol dire?

Vuol dire semplicemente che si sposta il centro di gestione della società in un altro Stato. Sì, perché non è sufficiente solo scegliere un Paese, ottenere il certificato di iscrizione della società da un ente che equivale alla nostra Camera di commercio e avere all’estero solo una cassetta della posta o un numero di telefono.

Ma è necessario che la gestione della società avvenga proprio nel luogo in cui si è spostata la sede legale, altrimenti si può incorrere nel reato di esterovestizione societaria cioè scoprire che la sede legale è fittizia perché si è spostata solo la sede della società senza che effettivamente si sia spostata anche la sede della sua gestione (che avviene normalmente ancora in Italia).

Per la Guardia di Finanza e l’Agenzia delle Entrate, dunque, la sede legale all’estero è fittizia semplicemente perché la società in realtà opera ancora in Italia, avendo la sede amministrativa in Italia e anche l’oggetto principale del business localizzato in Italia.

Infatti la Corte di Cassazione, con l’ordinanza numero 6476 del 9 marzo 2021, ha stabilito che la società che ha fissato la residenza all’estero va considerata fiscalmente residente in Italia se le decisioni concrete che riguardano la direzione e la gestione delle attività di impresa vengono adottate in Italia.
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